La chiesa di S. Anna (Sec. X/XII)

 

Uno dei monumenti più antichi e più suggestivi dell’Isola di Capri è la chiesa di S. Anna, situata nell’omonimo quartiere in Via Madonna delle Grazie. Dedicata inizialmente a San Pietro, la sua fondazione è attestabile intorno all’anno mille, quando si formò il primo centro urbano di Capri al riparo della collina di Cesina, dopo che la popolazione aveva abbandonato la più antica cittadina posta nei pressi della riva di Marina Grande intorno alla cattedrale di San Costanzo.
La chiesa fu il centro di culto principale nel periodo medievale e parrocchia fino al XVI secolo. L’edificio, di impronta bizantina, è impostato su tre navate con altrettante absidi, al cui interno una volta esistevano oltre all’altare maggiore altri due altari; di essi oggi è rimasto solo quello centrale. Dal suo sagrato si accedeva alla chiesa attraverso tre porte, corrispondenti alle tre absidi; le due laterali furono abolite probabilmente quando la chiesa perse il titolo di parrocchia, divenendo un luogo di culto secondario rispetto alla chiesa principale di S. Stefano.Dalla navata sinistra si accede alla sagrestia sulla cui parete recentemente è stato scoperto un affresco della Crocifissione risalente al secolo XIV.
Quasi tutto l’interno dell’edificio sacro doveva essere affrescato; di queste pitture oggi sono visibili: nell’abside destra il cosiddetto affresco dei Paragalli (Sec. XIV),dove sono raffigurati il Cristo Pantocratore, la Madonna che allatta il Bambino tra San Pietro, già titolare della chiesa, e la più antica immagine di San Costanzo patrono di Capri. Nella navata destra, vicino all’ingresso dove prima esisteva un altro ingresso, una Deposizione di Cristo (Sec. XVI) e, nell’intradosso del secondo arco della navata sinistra,un’immagine di San Tommaso (Sec. XVI).
Nel XIX secolo l’edificio sacro fu intitolato a S. Anna, patrona delle partorienti, perchè qui, presso un altare oggi scomparso, si teneva il rito della purificazioni delle puerpere.

 

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“I reduci di Gaeta prigionieri a Capri” di Lorenzo Terzi

I reduci di Gaeta prigionieri a Capri

Lorenzo Terzi

All’epoca non era l’odierna località turistica ricchissima, ma uno scoglio poverissimo, i cui abitanti vivevano di agricoltura e pesca d’alto mare. L’arrivo dei “capitolati” borbonici mise in crisi il Comune isolano, che dovette sobbarcarsi gli oneri finanziari non proprio leggeri del mantenimento della truppa. Un affresco storico importante da un documento dell’Archivio di Stato di Napoli.

Marina Grande – anni Sessanta dell’Ottocento

 

Il 17 febbraio 1861 giunsero nell’isola di Capri, come prigionieri di guerra, 280 ufficiali e «2000 uomini di truppa svariata» dell’esercito di Francesco II di Borbone, reduci dall’assedio di Gaeta.  A costoro si aggiungevano i «soldati piemontesi» che fungevano da guardie carcerarie. L’afflusso repentino di questa massa imponente di uomini determinò il sorgere di gravi problemi logistici e di approvvigionamento.

 

 

 

Francesco II di Borbone

L’isola azzurra, nel 1861, era letteralmente un altro mondo rispetto alla località che conosciamo oggi, ricca, opulenta, straripante di turisti provenienti da tutto il pianeta, in ogni stagione dell’anno. La Capri di allora, invece, era uno scoglio poverissimo, addirittura miserabile, i cui abitanti si dedicavano a una stentata agricoltura su terreni per la maggior parte sassosi, oppure alla rischiosa pesca d’alto mare.

L’arrivo dei capitolati di Gaeta rappresentò, quindi, una vera e propria catastrofe per le magrissime casse municipali capresi. Le preoccupazioni della comunità locale emergono nel carteggio fra il sindaco dell’epoca, Filippo Trama, l’intendente di Castellammare Gaetano de Roberto, il «Governatore [ossia il prefetto] della Provincia di Napoli» e il Dicastero dell’Interno e Polizia delle Province Napoletane.

 

 

La battaglia del Volturno

La relativa documentazione è rintracciabile presso l’Archivio di Stato di Napoli, precisamente nel fondo Prefettura, Archivio amministrativo, busta 318.

Il fascicolo contenente il materiale sui soldati borbonici provenienti da Gaeta è racchiuso in una camicia recante l’intestazione Intendenza della Provincia di Napoli. L’Intendenza, infatti, era l’istituto che in età preunitaria svolgeva una parte delle funzioni poi ereditate dalle prefetture. Queste ultime vennero create con regio decreto del 9 ottobre 1861, n. 250; a esse, con regio decreto n. 251 della stessa data, furono delegate nuove attribuzioni fino ad allora esercitate dal Ministero degli affari interni. Nel periodo luogotenenziale (6 novembre 1860 – 9 ottobre 1861) in cui ricadono le date del carteggio qui esaminato, le sedici province del Mezzogiorno – quindici della circoscrizione borbonica con l’aggiunta di Benevento, tolta allo Stato Pontificio – furono rette da governatori, coadiuvati da un segretario generale e da un consiglio di governo.

Il sindaco di Capri, dunque, si rivolge proprio al governatore della Provincia di Napoli allorché, il 20 febbraio 1861, sollecita l’invio di quattro buoi e di scorte di riso per la massa dei soldati prigionieri di guerra; domanda inoltre con urgenza di ricevere ulteriori scorte di gallette e grasso, dal momento che quelle disponibili sull’isola sarebbero bastate per soli tre giorni.

 

Militari borbonici assieme ai loro cappellani

Il 26 febbraio successivo l’intendente di Castellammare scrive anch’egli al governatore della Provincia di Napoli: gli trasmette un rapporto del sindaco, il quale si dice allarmato a causa dell’ordine, indirizzato al Comando di Capri dalla Piazza di Napoli, di caricare integralmente sulle modestissime casse comunali il costo dell’alloggio degli ufficiali del disciolto esercito borbonico. Se così si facesse, prosegue lo scrivente, il municipio isolano resterebbe gravato da un esborso di svariate centinaia di ducati, «per rivalere coloro che a primo ingresso procuraronsi albergo volontario a proprie spese, e per sostenere simili esiti sino al tempo di loro permanenza, ascendendo essi a 280 de’ quali appena 60 circa spediti in Anacapri». Il sindaco, pertanto, dichiara di trovarsi in una posizione di terribile imbarazzo, «gli abitanti così per le meschinissime loro facoltà, come per il limitatissimo numero delle case non potendo, né dovendo alloggiare che soli 40 ufficiali di ogni grado nel solo periodo di giorni quindici, giusta l’articolo 1064 dell’ordinanza di Piazza».

 

Cavalleria borbonica

L’accorata protesta di Filippo Trama viene inoltrata il 28 febbraio dal governatore della Provincia di Napoli al consigliere di Luogotenenza del Dicastero dell’Interno. Il primo marzo l’intendente di Castellammare  indirizza a sua volta al governatore una pressantissima comunicazione in cui viene trascritta un’altra rimostranza del sindaco caprese, pervenuta allo scrivente il giorno prima:  «Tra le sventure cui oggi giace questa popolazione, non è minore quella del disastro, che sperimentasi ne’ fondi Rurali, tutto dì spogliati di pali, e di quanto è suscettibile per abitare la Truppa de’ Prigionieri di Gaeta a cuocersi la razione, che senza prestito pecuniario, riceve cruda, e senza legna. Assordato da’ lamenti de’ Padroni de’ fondi da’ quali la truppa anzidetta strappa quanto può, son costretto anche su di questo argomento interporre la efficace di Lei cooperazione, onde diansi quei provvedimenti, che la imperiosa circostanza esigge [sic], e reclama».

La situazione si normalizza qualche settimana più tardi, dopo il trasferimento dei prigionieri. Il 12 maggio 1861 il Decurionato di Capri formula la proposta – poi approvata dal Dicastero dell’Interno e Polizia – di prelevare dal residuo di cassa disponibile del 1860 la somma di ducati 146.74, corrispondente alla spesa «per la fornitura della paglia a terra ad alcuni soldati prigionieri di Gaeta inviati in quel Comune, e per gli alloggi in locanda ad alcuni Uffiziali della stessa truppa che non trovarono capienza nelle case dei privati». All’interno della deliberazione decurionale si specifica che gli esiti, ovvero le uscite delle casse comunali per i capitolati di Gaeta, ammontavano in totale a ducati 231.93, e che solo i suddetti ducati 146.74 si sarebbero dovuti considerare a totale carico del Municipio, mentre «del dippiù deve il Comune medesimo esserne rivaluto dal Ramo di Guerra». La resta di cassa da cui attingere per far fronte al costo per la paglia e gli alloggi, inoltre, sarebbe stata ottenuta dai seguenti articoli di spesa:

  1. Per soldo non pagato al secondo Maestro di scuola, esonerato: 25.00
  2. Idem al Professore Condottato: 90.00
  3. Idem al Farmacista, che vaca: 49.17
  4. Idem per la di lui casa: 12.00
  5. Per un meno pagato sul contributo fondiario: 5.15
  6. Per interessi correnti, meno pagati a’ Signori Morcaldi: 15.12
  7. Per meno pagato per le Feste Civili: 9.14
  8. Idem sul mantenimento de’ Detenuti: 21.60
  9. Per meno erogato su il Fondo di Strade:  26.74
  10. Idem per riatto della strada lo Pizzo: 114.00
  11. Per un meno pagato per la Posta Interna: 2.00
  12. Idem sulle spese di Liti: 29.23
  13. Idem sulle spese di libri alle Scuole Primarie: 6.00
  14. Per le opere pubbliche provinciali: articolo che per equivoco è duplicatamente segnato nello stato; mentre sotto il proprio articolo 57 figura per eguale somma soddisfatta come di dritto: 8.76
  15. Per un meno pagato sull’aumentato Fondo d’imprevisti: 26.06

439.97

I suddetti ducati 146.74 erano stati così erogati:

Per importo della paglia di giacenza della Truppa: 103.84

Per indennità degli alloggi in locande, somministrati a taluni Uffiziali Superiori, essendosi per i Subalterni esauriti tutt’i locali degli abitanti, atteso lo eccessivo numero di detti Uffiziali in circa 200 pel solo Capri: Totali ducati centoquarantasei, e grana settantaquattro: 146.74

I resoconti contabili ci restituiscono anche il numero dei soldati di truppa alloggiati nel Comune di Capri, divisi per corpo militare, nonché l’ammontare del quantitativo della paglia per ciascun corpo. Il seguente prospetto originale, tuttavia, contiene delle incongruenze nel calcolo dei totali degli individui e delle cantaia di paglia a essi erogate:

Piazza di Capri

Dimostrazione della paglia somministrata a sotto seguenti Corpi

 

Dettagli Truppa Paglia
Corpo del Genio
Sala d’armi ed Armieri di Artiglieria
Reggimento Re Artiglieria
Tiragliatori della Guardia
Gendarmeria Reale
Riserva
1° di Linea
3° di Linea
5° di Linea
Battaglione Estero
3° Battaglione Cacciatori
24
38
761
139
17
77
15
31
9
16
71
2,40
3,80
76,10
13,90
1,70
2,70 [sic]
1,50
3,10
0,90
1,60
2,10 [sic]
Totale 1298 [sic] 129,80 [sic]

 

Come si può notare, il totale dei militari appartenenti ai diversi corpi – pur non volendo tener conto delle oscillazioni dovute, forse, a errori materiali di calcolo, e pur sommando questo totale con quello degli ufficiali, ovvero 280 – rimane ben lontano dalla cifra di 3000 individui riferita dal sindaco Trama nel suo telegramma del 20 febbraio, ma anche da quella di «2000 uomini di truppa svariata» dal medesimo inserita nel rapporto del 25 febbraio 1861 inviato all’intendente di Castellammare. Tale discrepanza, se non causata da un ulteriore errore di computo, può forse spiegarsi con il trasferimento di una parte della truppa nel Comune di Anacapri, così come era avvenuto per 60 dei 280 graduati giunti nell’isola.

La documentazione del fondo Prefettura ci restituisce anche un Notamento di spese erogate per alloggi somministrati a taluni degli Uffiziali Superiori Prigionieri di Gaeta venuti in quest’Isola il giorno 17 febbraio 1861, compreso il Commissario ordinatore signor de Filippis, il suo Segretario, e l’Uffiziale Pagatore. Veniamo così a conoscere anche i nominativi di quanti erano stati risarciti per aver alloggiato gli ufficiali dell’ex esercito borbonico; la spesa complessiva, a carico del Comune di Capri, ascendeva – come si è già detto – a 42 ducati e 90 grana.

 

 

Dal 17 febbraio al 9 marzo 1861 il locandiere Adam Ross aveva ospitato 61 ufficiali superiori, per un totale di 24 ducati e 40 grana di indennità, più trenta grana «per un tubo di cristallo sotto ad un candeliere del Commissario de Filippis»; nello stesso periodo Michele Pagano aveva accolto 13 ufficiali superiori e 59 subalterni, per complessivi 15 ducati e 70 grana; a Giuseppe Bourgeois era toccato un solo ufficiale per tre giorni, corrispondenti a 75 grana d’indennità; dodici carlini e cinque grana, invece, era la somma dovuta all’analfabeta Vittoria Mazzola, la quale aveva accolto un ufficiale per cinque giorni continui; 50 grana, infine, erano toccati a Vincenzo Catuogno, «per alloggio in un solo giorno somministrato a due Uffiziali Prigionieri di Gaeta».

L’hotel Tiberio (attuale Palazzo Cerio) di Adam Ross

 

 

 

 

 

 

 

[N.d.r.  L’articolo è stato pubblicato online su “L’Indygesto” del 16 giugno 2019.]

Lorenzo Terzi è funzionario archivista presso l’Archivio di Stato di Napoli dal 2018. Laureato in Lettere moderne nel 1999, ha conseguito nello stesso anno il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Napoli. Da allora in poi, sino al momento dell’assunzione nell’amministrazione archivistica, ha lavorato come archivista libero professionista presso istituti pubblici e privati, quali l’Archivio di Stato di Napoli, l’Archivio di Stato di Salerno, l’Archivio della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce e l’Archivio Diocesano di Campobasso. È diplomato in Archivistica presso la Scuola di Paleografia, Diplomatica e Archivistica annessa all’Archivio Segreto Vaticano. Nel 2015 ha conseguito il diploma di Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana.

È iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania, nell’Albo dei pubblicisti, dal 1998.

Ha fondato e diretto Scrinia. Rivista di archivistica, paleografia e diplomatica.

È autore di articoli, saggi e monografie, tra cui Le scuole normali a Napoli tra Sette e Ottocento. Documenti e ricerche sulla “pubblica uniforme educazione” in antico regime, Napoli, L’Orientale Editrice, 2001.

La Grotta del Castiglione

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La Grotta del Castiglione 

La più grande cavità terrestre dell’isola di Capri nota come Grotta del Castiglione, frequentata  probabilmente già in età neolitica e sicuramente nel periodo romano come ninfeo rupestre, ha avuto una funzione fondamentale nel Medio Evo e in Età Moderna. Essa rappresentava l’estremo rifugio della popolazione, quando le incursioni di pirati saraceni prima e barbareschi poi imperversavano con tragica frequenza sul territorio caprese e sui centri della vicina costa. 

La grotta costituiva, insieme al castello soprastante, un sistema unico di difesa strategico, all’interno del quale era l’ultimo riparo dopo che tutti i tentativi di respingere il nemico si erano dimostrati inefficaci. 

Mentre gli uomini destinati alla difesa cercavano di contrastare e respingere gli assalti predatori sugli spalti delle mura della cinta urbica e negli angusti vicoli del paese, le donne, i bambini e gli anziani si riunivano nella Grotta dove con ansia e trepidazione aspettavano che il saccheggio terminasse. Alcune testimonianze raccontano che, per renderla più sicura ed accogliente, la grotta fu attrezzata con cisterne, forni, lavatoi e un ponte levatoio che, per impedirne l’accesso, veniva alzato dopo che tutta la gente si era messa al sicuro. 

La Grotta, situata nella roccia sottostante il castello medievale, era raggiungibile percorrendo un ripido sentiero rupestre difficile da scoprire per chi non conoscesse il territorio. 

Un’antica e suggestiva leggenda è legata a questo grande antro e ai tragici momenti vissuti dai capresi in quei secoli tormentati. Nella prima cappella della navata sinistra della chiesa di S. Stefano di Capri è esposta una pala in legno con l’immagine  della Madonna della Libera tra S. Antonio e S. Michele (Sec. XVI). Il dipinto originariamente si trovava nella cappella del castello di Capri (Castiglione), intitolata proprio alla Madonna della Libera, ed era oggetto di grande devozione popolare. Secondo questa leggenda durante un’incursione di pirati musulmani la gente, come di consueto, trovò riparo nella Grotta mentre gli assalitori, ormai padroni dell’isola, raggiunsero il castello e dopo averlo occupato e saccheggiato presero il quadro della Madonna e, in segno di sfregio, lo lanciarono nel dirupo sottostante la fortezza. I Capresi rifugiati nella Grotta assisterono terrorizzati alla scena e si rammaricarono perché avevano pensato a salvare le loro vite dimenticando di portare al sicuro l’immagine della Vergine. Terminata la predazione la gente ritornò nel castello e, con grande sorpresa, trovò il quadro al suo posto nella cappella da dove era stato prelevato e buttato via. Grande fu lo stupore e tutti gridarono al miracolo attribuendo il prodigio agli angeli che avevano raccolto il dipinto e lo avevano riportato nella sua sede originaria. 

Agli inizi dell’Ottocento la cappella della Libera del Castiglione fu trasformata in polveriera e il quadro fu trasportato nella chiesa di San Costanzo a Marina Grande dove si trasferì anche il culto. Più tardi però l’immagine fu di nuova spostata e portata nella cappella dove attualmente si trova. 

Fu dunque dopo questi avvenimenti che il culto della Madonna della Libera si radicò nel borgo marinaro, dove ancora oggi viene praticato con particolare venerazione. A questo proposito vale la pena ricordare che i marinai ed i pescatori isolani hanno avuto ed hanno ancora una profonda devozione per le tre Madonne venerate sull’Isola i cui santuari si trovavano sulle colline più alte: Madonna di Cetrella sulla montagna di Anacapri, Madonna della Libera sulla collina del Castiglione e Madonna del Soccorso sulla collina di Tiberio.  


Grotta del Castiglione (da “Capri antica”)  

La grotta, che si apre sulla ripida parete meridionale dell’omonimo colle, è una tipica grotta di disfacimento, al cui sviluppo hanno contribuito la demolizione delle rocce, la degradazione esterna, la vegetazione e l’intensa insolazione. Nella zona inferiore, cominciando da ovest, vi è una cisterna, rifatta dal Cerio su una di epoca romana di pianta trapezoidale e rivestita di cocciopesto. Presso la parete est della cisterna, vi è un muro in reticolato della lunghezza di m 4 e, ad est di questo, una scala, formata da tre rampe di sei gradini, conduce alla parte superiore della grotta. Una serie di muri in reticolato o in opera cementizia, a vari livelli, regolarizzavano e rivestivano la parete di roccia naturale. A livello superiore, resti di un piano di calpestio formato da uno strato di pietrisco ricoperto di malta. Un cunicolo roccioso, ad est, la cui entrata è parzialmente ostruita da una grossa pietra, potrebbe essere identificato come luogo di sepoltura di età neolitica. La grotta ha avuto, nel corso dei secoli, diverse fasi di frequentazione, che hanno alterato le precedenti. Rellini accenna al rinvenimento, durante un breve scasso, di una non meglio specificata «ceramica preclassica», auspicando ricerche più approfondite nell’area: d’altra parte, la grotta, posta quasi di fronte a quella delle Felci e in ottima posizione di controllo sul mare e sulla costa, offriva un comodo e spazioso riparo; né va dimenticato che, lungo le pendici occidentali della collina del Castiglione, furono rinvenuti alcuni strumenti in pietra di età neolitica. Durante l’età romana, la grotta fu utilizzata come ninfeo della soprastante villa, con accesso, successivamente distrutto, sul lato occidentale: a tale sistemazione vanno  riferiti i numerosi resti di strutture, anche se qualche studioso ha ipotizzato, invece, che vi potesse essere un tempio. In età medioevale, la grotta fu utilizzata come rifugio dagli abitanti dell’Isola durante le incursioni dei pirati: in questo periodo furono costruite delle opere di difesa e di avvistamento e, probabilmente, vennero parzialmente distrutte le precedenti costruzioni. Questi interventi successivi, nonché il deposito di detriti rocciosi, forse causato da qualche frana o smottamento, nascosero completamente le strutture romane, tanto che quando neI 1790 l’ingegnere Santo, che lavorava per Hadrawa allo scavo della villa del Castiglione, si calò avventurosamente all’interno della grotta, attratto dalla notizia della presenza di «una tavola d’un prezioso marmo di grandezza immensa», non vi trovò che stalattiti. Divenuta la grotta di proprietà di Giorgio Cerio, questi fece abbattere le strutture medioevali, ristrutturò la cisterna romana, costruì una piccola casetta vicino alla parete rocciosa e la scala di 390 gradini che collega la grotta a via Krupp ed eseguì un piccolo scavo durante il quale, oltre alle strutture, trovò un’anfora romana e dei «vasetti traforati», interpretati da Maiuri come vasi per la coltivazione dei fiori, che adornavano la grotta-ninfeo.  

Estratto da: Capri antica – dalla Preistoria alla fine dell’età romana, a cura di Eduardo Federico e Elena Miranda, Edizioni La Conchiglia, Capri, 1998 p. 201. 

 

La porta di Capri

Il 22 agosto 1826 il pittore tedesco Ernst Fries realizzò questo magnifico disegno che riproduce una parte delle mura della città di Capri. Si vede chiaramente in primo piano il sistema fortificato delle tre porte, sormontate ancora dai merli, che costituivano il dispositivo di controllo ed interdizione posto all’ingresso del paese. Accanto al campanile si può notare la torretta che sorvegliava l’accesso principale della città (attuale ristorante Pulalli) collegata, a sinistra, al camminamento di ronda che si estendeva fino alla collina di Cesina, anch’esso munito di merli. Nella parte destra del disegno appaiono in tutta la loro imponenza le mura sostenute da contrafforti nell’attuale zona del quartiere di Santa Teresa dove, peraltro, si può notare l’assenza della cosiddetta strada Sali Mura che fu realizzata molti decenni dopo nella seconda metà dell’Ottocento. In lontananza, appena accennata, si vede la cortina di mura che chiudeva il perimetro della cinta urbana sul versante occidentale fino a raggiungere la fortezza del Castiglione.
Al centro è visibile, nella sua antica configurazione, il trecentesco Palazzo Arcucci (oggi Palazzo Cerio) prima delle modifiche e delle superfetazioni di fine Ottocento. In primissimo piano, la stradina che dalla porta di città conduceva alla Scala San Francesco per Marina Grande. L’accuratezza dei particolari e la nitidezza del tratto fanno di questo straordinario disegno una sorta di fotografia fedele ed attendibile dello stato dei luoghi conferendogli così un grandissimo valore storico.

Le fortificazioni dell’Isola di Capri di Enzo Di Tucci

Breve excursus storico sulle fortificazioni e sui dispositivi di osservazione e difesa di Capri a partire dall’antichità fino alla metà dei XIX secolo.

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“Capri nel ‘700 una metamorfosi” di Mimmo Oliviero

Ricostruzione topografica di Capri e del suo assetto stradale prima degli sconvolgimenti causati dalle occupazioni militari inglesi e francesi nei primi anni dell’Ottocento. Saggio pubblicato in occasione della conferenza dell’arch. Mimmo Oliviero tenuta il 23 settembre 2014 sul terrazzo del Centro Documentale dell’Isola di Capri.

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Castromaiore e Nimfisa

 

Note per l’identificazione delle cittadine medioevali dell’isola di Capri

a cura di Giuseppe Aprea

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La Presa di Capri

LA PRESA DI CAPRI

Brevi note sulla spedizione militare franco-napoletana che strappò l’isola di Capri agli Inglesi

pubblicate nel secondo centenario dell’avvenimento (4 ottobre 1808 – 4 ottobre 2008)

Testo di Enzo Di Tucci – Immagini e grafica di Giuseppe Aprea.

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L’approdo romano di Tragara

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Resti del porto romano di Tragara. (Foto di P. Arcucci)

Approdo di Tragara

La cala di Tragara è abbastanza facilmente raggiungibile, a piedi, per mezzo di un comodo sentiero, ed è d’altronde frequentata meta di bagnanti. L’insenatura si presenta tuttora ben riparata per la presenza, poco al largo, dei Faraglioni da un lato e dello scoglio del Monacone dall’altro. 

Attualmente sul luogo sono visibili i resti di tre ambienti e di un muro di terrazzamento lungo m 23,85 ed alto circa m 3,50Tale muro, realizzato con una tecnica a blocchetti irregolari di calcare con un ricorso in laterizi, ha la doppia funzione di terrazzamento del costone roccioso e di parete di fondo dei tre ambienti. Di questi ultimi si conserva ben poco: quasi nulla dell’elevato, parte della pavimentazione in opus spicatum (piccoli mattoncini in laterizio disposti a spina di pesce) dell’ambiente a sud, parte delle lastre in pietra della pavimentazione dell’ambiente a nord.

Hadrawa parla assai brevemente del porto di Tragara, «dove Tiberio teneva una squadra di legni armati per la sua difesa, anzi è noto che all’occasione della condanna di Sejano, Tiberio aveva qui pronte le navi per fuggire a’ suoi eserciti».

In base alla descrizione del Mangoni, sotto l’acqua si vedono in particolare «tre grandi basi di solida muraglia costruite ad eguale distanza l’una dall’altra, che danno a vedere fossero state il sostegno di archi e di fabbriche per uso del porto stesso».

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C. Weichardt “Le palais de Tibere et autres edifices romains de Capri”

Più oltre l’autore, ritenendo troppo stretta la cala di Tragara per ospitare una flotta degna della difesa di un imperatore, ipotizza che il porto romano si estendesse «fino all’altro capo del monte di Anacapri, detto Marcellino».

Il Mingazzini ancora distingueva sullo scoglio delle gettate di caementum tra le anfrattuosità della roccia e tagli sulla roccia levigata, probabilmente una sistemazione dello scoglio a molo.

Il Friedlaender riferisce che sotto lo specchio d’acqua, verso nord, era possibile vedere «una serie di blocchi di muratura di getto, separati da un sistema di sottili canali», che sarebbero i resti del molo romano, ed aggiunge che «delle grosse condutture di piombo, una volta esistenti, indicano che vi si adducevano grandi quantità di acqua dolce dalle cisterne delle Camerelle »

Questa descrizione ha suggerito anche la possibilità che «il complesso di Tragara comprendesse anche la piscina o vasca per la piscicoltura».

[M.V.d.C.]

Estratto da: Capri antica dalla Preistoria alla fine dell’età romana, a cura di Eduardo Federico e Elena Miranda, La Conchiglia, Capri,1998.